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LA GUERRA DELLE NARRAZIONI,OCCIDENTE E ORIENTE

Aggiornamento: 3 mag 2022

Parallelamente alla guerra che si sta combattendo nei territori ucraini e nelle repubbliche separatiste di Donetsk e Lugansk si sta combattendo una guerra sui mezzi d’informazione, sui social tutti giorni, una guerra che dura da molti più anni di questa e che probabilmente continuerà anche dopo la fine, si spera il prima possibile, della stessa: la guerra delle narrazioni, dei miti fondativi, dello storytelling.

Come scrive nei suoi libri bestseller lo storico Harari tutte le nazioni sono, in realtà, storie che ci raccontiamo, miti fondativi. Allo stesso modo si sono formati racconti sulle nazionalità e i nazionalismi russi ed ucraini, proprio al riguardo lo storico Harari ha scritto un articolo sul Guardian in cui, in merito a questa sua visione delle nazioni, espone l’opinione secondo la quale la Russia avrebbe già perso la guerra in partenza, poiché nel tentativo di annettere l’Ucraina all’impero russo in realtà ha esacerbato il sentimento antirusso in Ucraina, poi continua Harari affermando che la resistenza che sta opponendo la popolazione ucraina all’invasione di Mosca diventerà un perfetto mito fondativo che fra molti anni i padri racconteranno ai figli, e questo radicherà inevitabilmente nelle nuove generazioni l’odio per Mosca e la vicinanza all’Occidente (sebbene in Ucraina attualmente non c’è questo amore incondizionato per il democratico Occidente).

Nel 21° secolo quasi tutti gli stati del mondo rifiutano l’idea di guerra, tra questi però c’è anche la Russia (la Russia è lo stato che ha perso più persone nella seconda guerra mondiale, 27mln), e allora come si spiega che la popolazione russa sembri appoggiare l’invasione (secondo alcuni sondaggi più del 70% della popolazione è a favore della guerra)? E’ di nuovo un problema di narrazioni, il popolo russo in questi anni ha visto nei propri telegiornali la guerra che si teneva fra l’esercito di Kiev e i separatisti filo-russi di Donetsk e Lugansk, inoltre in Russia si descrive questa guerra come una liberazione, una denazificazione dell’Ucraina, tutto ciò spiega la crescente fiducia del popolo russo nelle scelte di Putin.

In Occidente questa narrazione è totalmente rigettata e bollata come propaganda di Mosca, questo porta, inevitabilmente, all’ottimismo (per lo meno sul lungo termine) dello storico Harari. Come dicevo prima ad oggi in quasi in tutti i paesi del mondo l’idea di una guerra viene rigettata, ma nonostante ciò ,dagli inizi degli anni 2000 ad oggi, la maggioranza degli stati occidentali ha aumentato la percentuale di PIL destinata alle spese militari, quindi la popolazione, anche occidentale, riesce ad accettare e ad appoggiare molte guerre, quando queste sono ben raccontate; è il caso delle armi biologiche propagandate dal governo Usa per motivare l’attacco all’Iraq (queste armi batteriologiche e chimiche, poi denominate solo biologiche sono un chiaro caso di fake news diffuse per spostare l’opinione pubblica del paese, all’epoca molto scettico riguardo l’invasione di un altro paese, l’Iraq, non democratico, ma non meno sovrano dell’Ucraina).



Ma perché la Russia ha perso quindi questa guerra di narrazioni, perché non è riuscita ad imporre la sua visione dell’Ucraina come stato nazista all’occidente? A mio parere questa vittoria della visione occidentale e di tutte le guerre, non solo le passate e le presenti, ma anche, probabilmente, le future deriva dal Soft Power che gli Usa esercitano su di noi. Cos’è il soft power? Il Soft power è un termine usato in geopolitica per indicare l’influenza culturale e non coercitiva che riesce ad imporre uno stato su un altro. Il concetto di soft power ha implicazioni non per forza di alti ideali politici, il soft power americano esercitato dagli Usa sulla Ue si puo’ trovare in un caso del passato, un esempio cristallino è il fatto che anche negli anni delle proteste di piazza in Italia, l’Italia del PCI e l’Italia della DC e in quel momento della storia riportato sui libri di storia come bipolarismo, anche in quegli anni dicevo gli italiani con la tessera del PCI e schierati con l’Urss quando tornavano a casa guardavano happy days e ascoltavano il rock americano, anche loro quindi nonostante fossero antiamericani erano ferventi consumatori dei prodotti culturali degli Stati Uniti. Un altro esempio di Soft power attuato dagli americani su tutto l’Occidente è nelle immagini di Agosto 2021, quando l’esercito americano lasciò dopo venti anni il territorio afghano, su tutti i telegiornali circolavano le immagini dell’aereo che partendo da Kabul lasciava sulla pista migliaia di afghani desiderosi di libertà e diritti umani che non volevano ritornare all’Afghanistan dei talebani. In realtà quelle persone che corrono sono una stretta minoranza del popolo afghano e per la grande maggioranza sono persone che avevano ricoperto ruoli importanti durante gli anni del controllo americano e che ovviamente sarebbero stati il primo obiettivo del regime.

Quindi per concludere di fronte a questa guerra si possono usare alcune narrazioni per leggere la realtà (tutte le narrazioni sono come delle lenti che distorcono la realtà stessa) e se si usano quelle dell’Occidente si arriva ad una forma di ottimismo, se invece cerca di sospendere il giudizio ed essere relativisti per un momento, a parer mio, si arriva ad un cauto pessimismo.

Ottimismo

L’Occidente ha il soft power. I prodotti culturali occidentali che poi vengono consumati in tutto il mondo saranno sempre delle letture della realtà con le lenti delle narrazioni occidentali. Per la visione ottimista c’è anche una concezione socratica del male, chi agisce in modo cattivo lo fa per ignoranza perché se conoscesse le reali alternative non si comporterebbe così, questo potremmo pensare vedendo le immagini degli afghani che volevano fuggire dal regime talebano e andare in “the land of the free”, inoltre questa concezione del male porta a quella dottrina molto presente nella sinistra americana, l’interventismo, quella visione, leggermente ingenua, che vede i popoli che preferiscono altre forme alla democrazia come popoli ignoranti che non conoscendo la libertà la rifiutano e non combattono per essa, quindi questo porta poi alla inevitabile missione dell’Occidente di esportare la democrazia.

Il cauto pessimismo

Il mondo non è solo Occidente, non tutte le nazioni credono che la libertà sia il massimo valore a cui ambire e che l’individualismo sia la strada per la soddisfazione. Le narrazioni anche quelle perdenti non scompaiono nel nulla, ma restano silenti finché non esplodono. Un esempio ne è la guerra che si tiene da anni fra i palestinesi e le forze militari israeliane, in Occidente durante il secondo dopo-guerra c’è stata una battaglia fra due narrazioni: una sionista che vedeva nella creazione dello stato d’Israele una soluzione alla questione del popolo ebraico, e un’altra Palestinese (spesso bollata come antisemita, cosa anche etimologicamente falsa in quanto nei popoli semiti rientrerebbero anche gli arabi) che vedeva in Israele un invasore. In questa guerra di narrazioni, e purtroppo non solo di narrazioni, c’è stato un chiaro vincitore, la posizione della legittimità di Israele, ma, nonostante la sconfitta la narrazione perdente non è scomparsa e ad oggi pervade tutti gli stati mediorientali che vedono Israele come nemico, ma non hanno abbastanza Soft power da poter influenzare i nostri giornali e i nostri media con questa visione. Tornando alla guerra in Ucraina c’è un altro avvenimento che mi fa tendere verso la posizione pessimista: la votazione che si è tenuta agli inizi di marzo all’Assemblea Generale dell’ONU, di risoluzione del conflitto secondo una risoluzione proposta dagli Usa, questa è stata votata da 141 paesi, solo 5 contrari e 35 astenuti; questo plebiscito a favore della risoluzione americana e contraria alla guerra in realtà è un risultato che ancora una volta vede la centralità dell’Occidente nel mondo che sta man mano calando; se si vede la popolazione dei paesi che non hanno votato a favore degli Usa si arriva a circa 4 miliardi di persone (si sono astenuti stati come Cina, India, Pakistan). Il mondo non è più atlanto-centrico come lo era nel secolo 20°, bensì sta diventando, purtroppo, sempre più pacifico-centrico.

Lauletta Alfredo

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