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Il vero futuro della Cina

  • Immagine del redattore: Liceo Marsico-viggiano
    Liceo Marsico-viggiano
  • 27 mag 2023
  • Tempo di lettura: 3 min

“La Cina è sull’orlo del collasso economico. È una nazione governata da un solo uomo, geograficamente isolata, tenuta insieme solo dalla forza”: queste le parole dell’esperto di geopolitica Peter Zeihan, secondo il quale all’impero di Xi Jinping rimangono solo altri dieci anni di vita.

Una profezia distopica (o forse utopistica?), che però mette in luce le fragilità interne del Partito Comunista, oramai ridotto semplice estensione delle volontà del suo leader.


Tra il 1980 e il 2015, la spietata politica del figlio unico, già ideata da Mao Zedong e poi definitivamente attuata da Deng Xiaoping, ha causato il collasso demografico del Paese: gli under trenta risultano essere solo il 6.14% della popolazione, contro il 19.8% degli over 60. I millenials, oppressi da una cultura soffocante, non vogliono sposarsi, e nel 2022 il tasso di natalità è sceso a 6,77 ogni mille abitanti, un preoccupante minimo storico. Naturalmente, negli ultimi tre anni, il covid ha accentuato ancor maggiormente un declino iniziato da una quindicina d’anni.


Fra i giovani, uno su cinque è disoccupato, nonostante il numero record di laureati ed il livello eccellente delle scuole. Questo è dovuto al progressivo rallentamento dell’economia, che non è riuscita a tenere il passo con gli altri paesi asiatici, ormai più tecnologicamente avanzati e visti come terreno fertile dagli investitori stranieri. Inoltre, secondo Zeihan, il sistema scolastico cinese si focalizza sull’apprendimento mnemonico di nozioni e non sullo sviluppo di reali competenze; dunque, un operaio messicano, ad esempio, possiede il doppio delle capacità di un cinese, viene pagato un terzo rispetto a quest’ultimo.

I laureati cinesi, inoltre, sono iperqualificati rispetto alle mansioni che dovrebbero svolgere, e questo ha favorito la creazione di un clima di sfiducia nei confronti del percorso universitario, giudicato inutile nella società odierna.


La guerra commerciale contro gli Stati Uniti, iniziata durante la presidenza di Trump e ora portata avanti da Biden, è costata alla Cina la perdita dell’accesso a software e materiali necessari alla costruzione dei semiconduttori. Per questo Xi ha dato il via a un braccio di ferro con gli U.S.A. per il controllo di Taiwan, la capitale mondiale dei microchip, con risultati per ora incerti. Resta il fatto che la Cina è completamente dipendente dalla marina statunitense riguardo alle importazioni.


Quanto a Xi, il suo atteggiamento è di certo deteriorato: il presidente si è autoisolato dal partito, smantellandone la struttura e rimodellandola a suo piacimento, senza farsi troppi scrupoli ad eliminare membri “corrotti” o milionari scomodi, come Jack Ma, il fondatore di Alibaba.

Dopo le purghe dello scorso ottobre, ha nominato come primo ministro Li Qiang e come vicepresidente Han Zheng, due suoi fedelissimi, ma anche veterani del partito, dando prova della propria incapacità, o forse mancanza di volontà, di trovare un successore o quantomeno di formare una nuova classe dirigente che prenda le redini del Paese.


Zeihan spiega come l’intelligence americana, a differenza di quanto accade in Russia, (dove i sistemi di controspionaggio non sono fra i migliori, al momento) non riesca a ottenere delle informazioni concrete, perché di fatto durante i briefing con il suo entourage non avviene alcuna conversazione; ergo, i suoi collaboratori hanno paura di dire ciò che Xi preferirebbe non ascoltare, anche se si stratta della verità.


Forse la Cina continuerà a esistere per sempre, a discapito di previsioni catastrofiche e dati allarmanti, o a discapito di Xi e del Partito Comunista, ma questo sarà possibile solo grazie a una rigenerazione della società. O forse, il suo collasso segnerà il momento della libertà per tutte le minoranze etniche oppresse, per Hong Kong e per Taiwan.











 
 
 

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