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HIKIKOMORI: cos’è?


L’hikikomori è il termine utilizzato per indicare il fenomeno che iniziò a diffondersi in Giappone verso la fine degli anni ‘80; anche se sui media non se ne parlava, il problema cominciava già ad essere percepito e interpretato in modo errato, talvolta venendo confuso come malattia o altri problemi quali depressione, apatia, schizofrenia, autismo o fobia sociale.


Il significato del termine deriva da due parole giapponesi, “hiku”, che significa tirare, e “komoru”, ovvero ritirarsi; infatti indica coloro che conducono uno stile di vita centrato all’interno della casa, che non hanno nessun interesse o disponibilità a partecipare alla scuola o al lavoro per almeno sei mesi.


I soggetti colpiti sono sono fragili a livello relazionale e ipercritici nei confronti di una società nella quale arrivano a non riconoscersi più come parte integrante; sono soprattutto giovani maschi dai 14 ai 30 anni, anche se il numero delle ragazze isolate potrebbe essere sottostimato dai sondaggi effettuati finora.

Le indagini condotte in linea ufficiale dal governo giapponese hanno identificato oltre 1milione di casi accertati, con una grande incidenza anche tra gli individui over40.

Ciò accade perché questo fenomeno, che nella maggior parte dei casi insorge nell’adolescenza, viene trattato superficialmente o ignorato e quindi incomincia a cronicizzarsi per tutta la vita con molta facilità. Sebbene alla sua origine tale fenomeno sia stato interpretato come una sindrome culturale inscindibilmente legata al contesto giapponese, oggi questa ipotesi si è rivelata errata e il fenomeno si è diffuso in altre nazioni economicamente sviluppate.


Le Cause

Le cause sono varie, ma unite tutte dalla presenza della forte pressione sociale che i giovani ragazzi devono sopportare.

L'jime (cioè il bullismo) a scuola rappresenta un grave fattore di rischio per quanto riguarda l'hikikomori. In Giappone le dimensioni del fenomeno sono inquietanti: un sondaggio del 1994 afferma che il 54% degli alunni delle scuole medie dichiarò di aver subito bullismo.

L’ijime” viene considerato un marchio di infamia e subirlo equivale spesso ad ammettere il proprio fallimento nella società. I casi di suicidio correlati sono ancora oggi numerossissimi.

Errore comune è considerare gli Hikikomori come dei ragazzi pigri e addirittura degli approfittatori, e non come delle persone che vivono un forte disagio psicologico.

Tale interpretazione genera diversi equivoci, uno in particolare riguarda lo stile educativo dei genitori, accusati talvolta di essere troppo permissivi, identificando in una loro presunta mancanza di autorità la causa principale dell'isolamento del figlio. Eppure, ad oggi, è giusto sottolinearlo, non esistono studi che dimostrino l'esistenza di una chiara e univoca correlazione tra un particolare stile educativo e l'hikikomori.

Data la rilevanza sociale del fenomeno, in Giappone si è cercato di porre il problema degli hikikomori attraverso due tipi di approcci, ciascuno dei quali con il proprio stile e la propria filosofia di trattamento:

- un approccio medico-psichiatrico, che consiste nel trattare la condizione come un disturbo mentale o comportamentale con il ricovero ospedaliero, sedute di psicoterapia e assunzione di psicofarmaci;

- un approccio basato sull’interpretazione del fenomeno come un problema di socializzazione piuttosto che come una malattia mentale: l’hikikomori viene quindi ospitato in una comunità in cui sono presenti altri hikikomori, con la possibilità di interagire lontano dalla casa di origine.

Nel secondo approccio rientrano organizzazioni specifiche no profit che si occupano di coloro che trovano difficoltà a integrarsi nella società, migliorando la loro capacità di interagire in modo da renderli indipendenti dalla famiglia, attraverso l'assegnazione di piccoli incarichi.


A volte anche la dipendenza da internet viene indicata comeuna delle principali cause dietro all'esplosione del fenomeno, ma non è così: essa rappresenta una possibile conseguenza dell'isolamento, non una causa.

In Italia vi è un’associazione chiamata “Hikikomori Italia” che ha il compito di informare, sensibilizzare e tentare di indurre una riflessione critica sul fenomeno. Lo scopo è quello di capire, non curare. Affrontare il problema senza stigmatizzarlo e giudicare.

Quello che potrebbe essere il secondo obiettivo, non di inferiore importanza, è di fornire ai ragazzi italiani che si sentono vicini all'hikikomori, così come ai genitori che hanno un figlio in questa condizione, la possibilità di potersi confrontare attraverso gli spazi online o in presenza all'interno dei gruppi di mutuo aiuto e supporto psicologico dedicati ai genitori.



Di Miriam Morello e Giovanna Dalessandro

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