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L’INSTANCABILE TENTAZIONE DI FUGGIRE DA SE

Aggiornamento: 3 mag 2022

Il tentativo di non disunirsi tra Pirandello e Sofocle


Viviamo nella società del troppo: troppo veloce, troppo competitiva, troppo frenetica, instancabile, innaturale. Il prodotto di questa comunità continuamente in cerca dell’eccesso è un qualcosa a cui fatico a trovare un nome perché è privo di ideologia, disorientante. Questo accade perché a pochi è concesso il privilegio di pensare: colti dall’ incalzante ritmo delle giornate stracolme si vive come automi, senza un preciso o impreciso scopo; più che un vivere è un esistere privo di certezze, e dunque è facile essere sedotti dalla tentazione di tagliare l’angolo e scomparire; come se sbagliato fosse il luogo, come se nel punto opposto del globo potessimo evitare di soffrire.



È il senso di inadeguatezza a trascinare le persone fino a punti di esasperazione tali che non riescono più a reggere il proprio personaggio, e l’unica soluzione apparentemente valida è quella più vile e codarda: tenere il mondo lontano per non venirne travolti, diventando in uno centomila e in centomila nessuno. Alla base della visione del mondo pirandelliana, vi è un’attualissima concezione della vita: la "realtà" è tutta “movimento vitale”, un flusso continuo indistinto, come lo scorrere di un magma vulcanico, e tutto ciò che assume una "forma" distinta, si irrigidisce e comincia a morire. Lo stesso accade all’identità dell’uomo: da forme libere quali dovremmo essere tendiamo alla cristallizzazione in una personalità univoca e illusoria: crediamo di essere “uno” per noi stessi e per gli altri, ma in realtà l’uomo è molti uomini, che cambiano continuamente forma. Ciascuna di queste è una maschera che ci imponiamo di indossare per rientrare nei canoni dell’ “enorme pupazzata” che è la società, e sotto la quale non c’è “nessuno”, o meglio vi è un continuo divenire di trasformazioni della personalità.


Invece di mascherarci come i personaggi pirandelliani dovremmo agire come quelli sofoclei. La critica è concorde nell’affermare che gli eroi scritti da Sofocle sono i primi moderni nella storia del teatro: nel corso del dramma esitano, rimpiangono e ammettono i propri errori, per questo continuano ad essere attuali. Sono emarginati, isolati, e vengono scaraventati da una forza inesorabile davanti al proprio dolore. Ma non si arrendono alla sofferenza, anzi si evolvono, e il patimento diventa occasione di acquisire una profonda consapevolezza della propria natura. Quando la realtà si stringe attorno a loro come una morsa capiscono di non poter sfuggire al proprio destino, ma non si limitano ad accettare il fato passivamente: l’eroe (e l’uomo) fino agli ultimi istanti continua a combattere per cambiare la propria sorte, avendo fiducia nelle proprie capacità, e non cercando di scappare dalle difficoltà.

A dover emergere perciò è uno spirito di resistenza al dolore, che permette agli uomini di non disunirsi in un ossimoro tra fragilità e grandezza, ed una grande voglia di autenticità, da contrapporre a una vita che ha il sapore di messa in scena.

Evitare di confrontarsi con la propria anima non potrà mai sostituirsi all’accettazione e alla comprensione di quello che è il vero Io di ognuno; ed è solo quando lo si fa che si può “ricominciare a vivere, vivere una vita nuova, vivere davvero”.

Marcella Naturali

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