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IL MULTIFORME ARTISTA DEL NOVECENTO:PIER PAOLO PASOLINI

Aggiornamento: 3 mag 2022


Nasce a Bologna il 5 marzo del 1922 uno degli intellettuali più poliedrici e dibattuti nella storia della cultura italiana, Pier Paolo Pasolini, artista che ancora oggi, a cento anni di distanza dalla sua nascita, è in grado di farsi ascoltare e parlarci. Egli è stato infatti regista, narratore, poeta e critico; sotto alcuni punti di vista incomodo anticonformista, capace però di suscitare scandalo e raccogliere molti consensi, a tal punto da lasciare un segno indelebile nella cultura del secondo Novecento italiano. Così può essere considerato un uomo dai mille volti che attraverso il suo frenetico impegno culturale in più campi del sapere ha espresso la sua volontà personale di rimanere libero da ogni tipo di definizione, un genio dalla natura contraddittoria che lo ha reso “l’artista e l’essere umano più complesso del Novecento”. Basti pensare alle tre definizioni le quali gli erano state attribuite durante il corso della sua vita: cattolico, comunista, omosessuale dichiarato. Ricorrente nell’arte e nella vita di Pasolini è stato il cambiamento, concepito attraverso la sua incessante ricerca sperimentale e il suo atteggiamento mai consapevolmente programmatico riguardo all’uso della commistione tra le varie forme d’arte. Scoprendo la sua vita ci si trova davanti a delle scatole da aprire, dalle quali man mano vengono alla luce una serie di motivi ricorrenti caratterizzanti la sua vita e il suo percorso esistenziale: il Friuli, paese natale materno; il teatro greco, da cui attinse a seguito dei sui studi classicisti; le analisi del mondo borghese; la dimensione visionaria; la stessa figura materna; la presenza del sacro. Questi sono tutti temi presentati all’interno dei suoi capolavori letterari e cinematografici. Durante la sua vita egli non si sentì mai definitivamente radicato in luogo poiché fu influenzato dall’ esperienza infantile del trasferimento causato dal lavoro paterno, da una città all’altra. Ciò gli permise di estendere la sua individuale prospettiva del mondo, quasi a giustificare quel poliglottismo culturale che lo contraddistinguerà negli anni. Multiformi sono le sue tecniche espressive. Pasolini è un autore che scrive poesie, romanzi, tragedie, sceneggiature e saggi di varia natura; è un autore che dipinge e disegna; è un autore capace di girare una ricca serie di film. Sarebbe difficile individuare un’arte in cui Pasolini eccelse meglio, nel tentativo di identificarlo o poeta o regista, o romanziere, poiché alla fine tutte le forme d’espressione in cui si è cimentato si coagulano a descrivere lo stesso uomo. La forza della parola lo ha sempre affascinato per la potenza evocativa che essa possiede. Questo però ci offre una visione dell’universo umano mai completamente autentica alla realtà, bensì può essere deformata a piacimento dall’artista visto che, in base al suo stato d’animo, ne sottolinea un aspetto piuttosto che un altro. Il modo migliore per cogliere la realtà è riuscire a catturarla attraverso tutte le sue diverse manifestazioni e questo, per Pasolini, lo si può fare in modo particolare attraverso la rappresentazione visiva. Con il tempo per l’artista, il simbolismo del linguaggio verbale diverrà una prigione dalla quale fuggire, per cercare quella “fisicità” che in Pasolini è stata sempre una tendenza peculiare. L’esperienza del cinema così gli permette di ristabilire un contatto con la sacralità la quale egli attribuisce al Reale, instaurando con esso un rapporto ancora più autentico e verosimile. Egli intendeva il cinema un’arte irregolare, corporea, in cui riusciva ad esprimere al massimo grado la sua tendenza regressiva verso lo stadio infantile, prima del complesso di Edipo, cioè prima dell’“obbligo di conoscere”, verso una sorta di paradiso perduto fuori dalla storia, lontano dal suo periodo storico costituito da contraddizioni e soprusi di cui egli era promotore e testimone diretto. Il punto d’intersezione fra la letteratura e il cinema viene individuato nella realtà. Tutti gli svariati mezzi di cui egli si serve in questi movimenti di approccio alla realtà delle cose del mondo, dunque, sono per lui dei codici visivi e linguistici di cui ha piena coscienza per rappresentare il suo stato di sgomento in una società di cui egli non si sentiva integrante, in cui i “ceti medi” erano radicalmente cambiati, i loro “valori positivi” erano scomparsi e “l’edonismo della società consumistica” aveva appiattito ogni cosa: persone ed idee. Una delle cause di queste situazione italiana, secondo Pasolini sarebbe stata la televisione, mezzo in grado di omologare non solo il consumo dei prodotti, ma anche idee, abbattendo ogni forma di diversità, e portando avanti un pensiero unico: il proprio, quello del consumismo stesso. Secondo la sua ottica il Novecento è stato improvviso e dirompente, un secolo capace di rappresentare una realtà che cambia velocemente come prima mai, allo stesso tempo riesce a restituire, secondo un esercizio intellettuale, un passato oramai troppo lontano, impossibile da poter far rinvenire. Durante tutta la sua vita Pasolini tentò di trovare un ordine, sia come artista, ma soprattutto come uomo. Fu sempre alla ricerca di un’identità, una proiezione di sé che lo rendesse accettabile prima di tutto a sé stesso e poi alla società. Nel corso della sua esistenza artistica, egli ha diffuso importanti testimonianze espressive, riportando su di sé e a sé le sue di contraddizioni fino alla sua stessa esibizione, e le contraddizioni della realtà italiana, nella mera convinzione che solo la dignità dell’arte potesse riscattare la mediocrità della vita. L’arte così diventa specchio della sua anima e dei suoi contrasti esistenziali, entro il quale si possono riflettere le mancanze del presente e le nostalgie di un passato perduto. La sua arte ha dunque un ruolo di coscienza critica nei confronti del suo periodo e della condizione umana degli uomini e della società. Per questo motivo Pasolini continua a essere letto, studiato, visto, amato e allo stesso tempo odiato: poiché continua a parlare del mondo in cui oggi viviamo e che ci circonda, nonostante quest’ultimo non lo abita più ormai da quasi cinquant’anni e nonostante contrariamente lui dicesse che ‘’la morte non è nel non poter comunicare ma nel non poter più essere compresi’’.

Ludovica Carmen Panebianco

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